Francesco Clemente
Francesco Clemente (Napoli, 23 marzo 1952) è un pittore e disegnatore italiano.
Biografia
Francesco Clemente, assieme a Sandro Chia, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino, è uno dei protagonisti della Transavanguardia italiana, movimento artistico, teorizzato dal critico d'arte Achille Bonito Oliva, nato verso la seconda metà degli anni settanta del XX secolo.
La produzione artistica di Clemente sfrutta simboli della tradizione occidentale e orientale, immagini video e cultura popolare. Membro dell'Accademia Americana delle Arti e delle Lettere, vive e lavora a New York e a Varanasi in India.
Clemente ha compiuto i suoi primi studi liceali a Napoli; nel 1970 si trasferisce a Roma per frequentare la facoltà di Architettura che non porterà mai a termine. Con il trasferimento nella capitale entra in contatto con vari artisti tra cui Cy Twombly e Alighiero Boetti, che influenzano i suoi esordi artistici. Nel 1971 tiene alla Galleria di Valle Giulia di Roma la sua prima mostra personale.
Viaggia in Asia, conoscendo la cultura afghana e quella indiana (dopo un primo viaggio a Madras, tornerà in India diverse volte negli anni settanta), in Sudamerica e in Giamaica. Continua ad esporre le sue opere nel 1975 alla galleria Massimo Minini di Brescia, Franco Toselli a Milano, Gian Enzo Sperone a Torino e a Roma.
A partire dagli anni ottanta espone alla Biennale di Venezia e a New York, dove si era trasferito con la famiglia, e lavora con Andy Warhol, Kenny Scharf, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Nel 1989, oltre alla mostra alla Lisson Gallery di Londra, espone i suoi lavori a Napoli alla galleria di Lucio Amelio e prende parte a numerose mostre in gallerie e musei. I suoi lavori vengono esposti dall’Università di Berkeley, in California, al Metropolitan Museum di New York, all’Art Institute di Chicago e al Museum of Modern Art di New York. Negli anni lavora per le gallerie di Daniel Templon e Yvon Lambert di Parigi, Paul Maenz di Cologne, Mary Boone Gallery, Sperone Westwater Gallery, Gagosian Gallery e Leo Castelli Gallery di New York, Akira Ikeda Gallery di Tokyo, Galerie Michael Haas di Berlino, Galerie Thaddaeus Ropac di Parigi e Salisburgo, Galeria Javier Lopez di Madrid, James Cohan Gallery di Shanghai.
Sandro Chia è un artista autodidatta, come lui stesso afferma: “Non ho mai frequentato una scuola di pittura, all’epoca non c’era studio né organizzazione. E poi nei libri non c’è niente! Per me dipingere è come meditare, l’arte è una forma di meditazione, che ti permette di essere nel presente, rinunciando ai sensi meccanici. Una volta scoperto questo, molte porte si aprono. E poi Stendhal diceva che ci sono l’arte e la storia dell’arte: sono due cose diverse”.
A 21 anni s’innamora dell’India, paese dove soggiornerà più volte aprendo uno studio a Madras (Chennai) e dove si interessa di teosofia e tecniche artigianali locali. Seguirà un viaggio in Afghanistan con l’amico e mentore Alighiero Boetti, artista che – a detta di Clemente – gli insegna a “pensare bene”. Dalla fine degli anni ’70 fa parte della Transavanguardia, il movimento ideato da Achille Bonito Oliva, per poi seguire un suo itinerario personale, unico. Dagli anni ’80 arriva il successo con la Biennale di Venezia e le mostre internazionali, nel 1983 si trasferisce a New York con la bella moglie Alba e la famiglia. Conosce Mapplethorpe, collabora con il poeta Allen Ginsberg, crea opere a sei mani con Warhol e Basquiat, attratto dalle varietà delle tecniche pittoriche e dalle molteplici possibilità espressive.
L’opera Map of What is Effortless (1978) appartiene ad una collezione privata. L’uso della tecnica del gouache (guazzo) su carta – un tipo di colore a tempera reso più pesante e opaco con l’aggiunta di un pigmento bianco mescolato con la gomma arabica – conferisce un effetto mat al dipinto. Siamo alla fine degli anni ’70, quando l’artista è ancora immerso nella spiritualità indiana e s’interessa al contatto con la natura, all’interrelazione fra l’uomo e gli animali. Una grande mano, la destra, ha sulla punta di ciascun dito un animale: zebra, tigre, leone, elefante, giraffa, come in bilico, ad indicare la delicata interdipendenza e la relazione fra essi e la mano, forse quella dell’artista, forse quella di una divinità creatrice. Questa stessa mano ci mostra il palmo, quasi ad invitarci ad una lettura dello stesso: ma se nella chiromanzia spesso si legge la mano sinistra – che mostra le nostre caratteristiche innate ed ereditarie – qui ci viene offerta la destra, che a differenza dell’altra ci mostra le esperienze fatte da una persona nel corso della vita e le sue prospettive future. E poi ancora la chirologia con lo studio delle linee della mano, passato e futuro in un’opera enigmatica il cui significato è in divenire, in movimento per un artista nomade.
Ancora più misteriosa l’opera Ritz (1983), un acquerello su carta di piccolo formato. “Clemente lavora sullo slittamento del significante, su una catena di assonanze, di analogie visive che liberano l’immagine da ogni obbligo e riferimento. Tutto questo crea un nuovo stato contemplativo dell’immagine, una sorta di quiete, in quanto essa è stata sottratta al rumore dei suoi tradizionali riferimenti”, scrive A.B. Oliva. La figura umana campeggia al centro dei suoi interessi, così come il corpo: filtro, linea di confine che divide l’interno dall’esterno, strumento per conoscere la realtà che lo circonda, ma anche autoritratto ripetuto per riscoprirsi. Ripetizione e variazione, i volti qui sono in parte distorti, deformati, il ritratto è un modo per osservare sé stessi e gli altri da prospettive diverse, insolite, gli occhi si moltiplicano, le bocche si chiudono con labbra di un sensuale rosso, in un sincretismo fra maschile e femminile. Qui l’immagine si con-fonde, l’opera è un invito aperto all’interpretazione o alla semplice contemplazione più che rebus con una soluzione prestabilita.